Con Paolo il senso di condivisione e amicizia si è fatto totale, con il tempo. Ci seguiamo, ci sentiamo, ci vediamo, ci apprezziamo, beviamo insieme. Con pacatezza si ragiona di vino, ma anche di altro. Dato che il carico di impegni di azienda gravano per un gran bel pezzo su di lui (Gianna alza gli occhi al cielo e tira avanti la sterminata famiglia), ci si trova spesso a parlare di burocrazia, di mercato, di giornalisti, di amici appassionati. Unico limite è forse non avere abbastanza tempo da dedicare all'assaggio di vini di altre zone, per avere una visione più ampia e collocarsi con più decisione nello sterminato panorama dei vini di qualità. Ma Paolo ha anche molti pregi, non ultimo quello di aver conservato uno spirito chiantigiano intatto, combattivo, rurale, direi ruspante, schietto ma sempre amabile. Il suo senso combattivo per il fare, per le cose di campagna lo ha riversato sul lascito familiare, il grande investimento che il padre Reginaldo Cianferoni, economista agrario e profondo conoscitore di questioni chiantigiane, fece agli inizi negli anni '60, acquistando podere Caparsino per tre milioni di lire dell'epoca.
Avevamo già fatto una prima panoramica sul Doccio a Matteo, tempo fa. Poi tanti assaggi random in azienda e altrove, anche miniverticali improvvisate. Ma il fascino di una degustazione da seduti, con tanti bicchieri davanti chiamava da un pezzo. Era ora di verificare il secondo vino (il primo in ordine di apparizione), quello che Paolo stesso considera l'espressione più naturale di podere Caparsino, da cui il nome del vino.
Possiamo contare su una scelta molto ampia, sia del Caparsino Riserva che annata. Le bottiglie rimaste in cantina sono poche, ma coprono un periodo di tempo di circa trent'anni. Mi vengono due pensieri.
Il primo, quanto sia importante la cantina storica per un produttore artigianale, purtroppo un'esigenza che è nata solo negli ultimi tempi per molti produttori, resisi conto tardi del valore documentale e di attestazione qualitativa, di un percorso che si può raccontare a voce, certo. Ma che il bicchiere rappresenta sempre in maniera inequivocabile, palese.
Il secondo è che queste bottiglie rappresentano una rarità ambita che i collezionisti e appassionati delle nuove economie (russi in primis) stanno cercando. Aprire bottiglie così (trovandole ancora integre) rappresenta occasione sempre più rara e preziosa, da cercare con costanza, finchè è possibile. Lo stesso Paolo si sta facendo sempre più restio a stapparle, visto il quantitativo modesto rimasto nelle rastrelliere dell'antro usato per il ricevimento clienti e per le degustazioni aziendali volanti. Tutto ha un sapore di immutabilità, ma in realtà è bene sapere che questa autenticità non si trova quasi mai altrove nel Chianti Classico e che rischia di scomparire del tutto. Trovo che il connubio alta qualità artigianale e senso di integrità di insieme, fuori dal tempo, sia una prerogativa di pochissime aziende. Caparsa conserva questo sapore di tempo sospeso, preziosissimo, e di verace estro artigiano.
Veniamo allo stappato. Il luogo è quello storico per noi, La Compagnia dei Vinattieri a Siena.
La prima considerazione da fare è che fino al 1994 in bottiglia troviamo anche il vinificato da malvasia e trebbiano, le uve bianche costituivano la vecchia ricetta, nella misura del 5-10% totale, assieme ai vitigni a bacca rossa autoctoni principi, sangiovese e canaiolo. Inoltre, il "governo", almeno fino al 1997.
Chianti Classico Caparsino Riserva 1986 - Colore aranciato, nitido, di buona trasparenza. All'apertura l'effetto diluizione, brodoso è prevalente. Si evolve velocemente su note di liquirizia al naso. In bocca severo, non eccessivamente acido, terroso. Via via che si ossigena si nota un'acidità più marcata. Evidentemente mobilissimo. A bottiglia aperta, vira decisamente sul rabarbaro, un carattere univoco, seppur amaro, con corrispondenza naso-bocca esatta, geometrica. Finale un po' sfuggente.
Chianti Classico Caparsino Riserva 1988 - Aranciato come la 1986. Fin da subito aperta, più spina acida della 1986. Buon finale mobile che con le ore tende a richiudersi. Una beva importante, confermata dai ripetuti assaggi negli ultimi mesi. La preferisco alla 1990, per quanto la 1988 sia dotata di materia apparentemente meno importante.
Chianti Classico Caparsino Riserva 1990 -Molto animale, evidentemente ridotta, molta bella materia ma ha bisogno di tempo, di areazione. Bella evoluzione, naso resta sporco. Quasi valentiniano, impreciso ma vitale. Dopo 30 ore è completamente ripulito. L'acidità si fa tesissima, leggermente slegata con l'alcol nel finale. L'opposto di un vino morto, direi addirittura un vino da attendere. Purtroppo credo che ci sia poco da attendere, le bottiglie sono state praticamente tutte bevute. A dimostrazione di una grande sottovalutazione del potenziale di invecchiamento di questi vini.
Chianti Classico Caparsino Riserva 1991 - Colore più scuro e vivo, granato. Floreale al naso, a momenti sa di impasto crudo del pane, di macchia mediterranea, soprattutto rosmarino. Un liquido molto tenue, con un'acidità insieme delicata e pungente che si attacca al palato, si attacca e scala le gengive, pian piano ma inevitabilmente. Ematico. Mi piace, la trovo un'espressione sinuosa, esile, sussurrata, poetica. Dopo 30 ore dall'apertura conserva intatta la deliziosa esilità descritta. Tra le mie preferite.
Da notare come nell'annata 1992, pessima, Paolo decise di vendere tutto il vino sfuso. Dal 1993 comincia il percorso parallelo di Caparsino e Doccio a Matteo, con uvaggi leggermente diversi.
Chianti Classico Caparsino 1993 -Inizialmente da una forte impressione di ossidazione, poi si pulisce e vira sul caffè. Evoluzione interessante nel bicchiere, ben sapido, acidità contenuta da una buona carnosità, note ematiche evidenti. Molto sedimento, il finale di bottiglia mal si presta ad un esame ulteriore.
Chianti Classico Caparsino 1994 - Tra il granato e l'aranciato. Pungente al naso, cannella. Metallico, ruggine, incenso. Ultima annata con uve bianche e governo insieme. Con le ore vira sulla liquirizia, una nota comune a diverse di queste annate, dopo adeguata areazione. Mobilità e maturità interessante, annata in questo momento interessante da bere, purtroppo parliamo di bottiglie praticamente introvabili.
Chianti Classico Caparsino Riserva 1995 - Colore vivo, granato. Naso pulito, molto varietale. Classico, humus, pulito, di buona tensione e finale leggermente asciugante. L'assenza di uve bianche lo rende più severo e scontroso, diventa maschio. Secondo me anche un po' più banale. Respirando diventa una beva decisamente appagante, austera, leggermente astringente. Da attendere. Ingiustamente consumato presto, un vero peccato.
Chianti Classico Caparsino Riserva 1997 - Granato pieno con riflessi porpora. Tannico, rasposo, terroso, astringente. Contrariamente a quel che si pensa sull'annata 1997, questa bottiglia non è affatto scollettata. Come invece lo è il Doccio a Matteo pari annata, già assaggiato più volte negli anni, in precoce maturazione/ossidazione. L'ossigenazione gli rende il giusto onore, particolarmente la bocca, acidissima. In questa annata ha avuto il "governo", pratica che lo rende particolarmente longevo. Esce il floreale. Avendone, aspetterei a berlo, più godibile il 1995 adesso.
Chianti Classico Caparsino Riserva 1999 -Molto ampio, grip e pienezza. Sapido, aamarene sotto spirito, una certa astringenza. Stavolta il parallelismo con il Doccio è preciso, l'effetto al naso e in bocca è paragonabile, quasi sovrapponibile. Un annata da bere, conservare, gustare. Anche se sinceramente preferisco il sentimento delle annate con le uve bianche, ma capisco che stiamo ragionando di gusti personalissimi.
Chianti Classico Caparsino Riserva 2000 -Dopo una bella annata come la 1999, il 2000 si presenta meno astringente e sapido, meno equilibrato, diluito, sussurrato, con un finale a cuneo, in dispersione
Chianti Classico Caparsino Riserva 2003 -Bella pienezza, sensazioni molto particolari, forse dovute anche ad un cambio gestionale in cantina, ma certamente espressione di Caparsino in un'annata che per quasi tutti in Toscana è stata sinonimo di sofferenza, gran cottura delle uve, eccessivo alcol e calore. Qui tutt'altro, direi paradigmaticamente altro. Caparsa fa stato a sè, soprattutto nelle annate calde. Radici, corteccia, pinolo, eucalipto, una sensazione di beva maschia ma possibile già adesso. Il tempo lo ingentilirà. Vino non per tutti, ma chi ama il genere troverà sensazioni fantastiche.
Ricapitolando, 1988 buona, interessante la 1990, molto piacevole la 1991, rivalutata la 1995 (bel naso, nitido), valida anche la 1997 e soprattutto la 1999, la più prospettica assieme alla 2003.
Ricapitolando, 1988 buona, interessante la 1990, molto piacevole la 1991, rivalutata la 1995 (bel naso, nitido), valida anche la 1997 e soprattutto la 1999, la più prospettica assieme alla 2003.
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